Eravamo io, Fidel, Chavez e George Best

Se ogni filo d’erba dello Stadio San Paolo potesse parlare ci racconterebbe, come nessun altro, le gesta di un mito che ha dato spettacolo sui campi da calcio.

Se ci fermassimo tutti un attimo e mettessimo su carta i ricordi, sono certo che ognuno di noi avrebbe qualcosa da raccontare su uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi: Diego Armando Maradona.

Con il suo talento è diventato l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli e di tutti i Sud del Mondo, segnando un’epoca di riscatto per tutte le classi emarginate del Sud America.

In campo era poesia fatta movimento, gioia mista alla magia; è stato il punto di unione tra il calcio da strada e quello delle star e divi di Hollywood, e forse è stato proprio questo che è pesato sulle spalle del più grande numero 10 della storia.

Ha conosciuto e frequentato i più grandi leader politici del pianeta, marcandoli stretti quando si trattava di investire sullo sport a favore dei bambini meno fortunati e facendosi influenzare da grandi personalità, come Fidel Castro, nella vita privata, infatti ha sempre dichiarato: “io sono tutto sinistro, di piede, fede e cervello”.

Diego Maradona non è stato un uomo qualunque, lui non si è mai nascosto nemmeno quando tutti sapevano della sua dipendenza dalla droga ed è per questo che è stato la prima vittima del calcio moderno.

Andava accettato così, è stato un atleta unico, inarrivabile e inimitabile; capace anche di spostare gli equilibri geopolitici del pianeta, come lui forse solo Muhammad Alì.

È morto il 25 Novembre come Fidel Castro e George Best da solo e senza infastidire nessuno, la sua non è stata una morte ma la celebrazione della sua immortalità.

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