Chi ha paura della patrimoniale?

Come spesso accade, in fase di discussione della legge finanziaria, qualche temerario cerca di inserire attraverso un emendamento, una piccolissima tassazione forfettaria per i grandi redditi. Ovviamente, appena qualche giornalista de “il Giornale” o di “Libero” se ne accorge, viene giù il putiferio.

È l’incubo della patrimoniale.

Ora, senza voler entrare nel merito della proposta, che si riduce nel chiedere un microscopico sforzo ad alcune centinaia di “paperon de paperoni” italici, ciò che salta all’occhio è la presa di posizione di quasi tutti i partiti dell’arco costituzionale, alcuni persino di sinistra, i quali tacciano la proposta come mera iniziativa personale dei sottoscrittori.

Sono proprio queste dichiarazioni, quasi scandalizzate, che fanno risorgere un dubbio che, a dire il vero, frulla nella testa delllo scrivente da quando sono spuntati i primi peli sul viso: i valori di sinistra, oggi come venti anni fa, da chi sono rappresentati?

Cerco di spiegarmi meglio.

Chiedere un piccolo sforzo ai pochi super ricchi italiani non può che essere, più che una manovra diretta a risollevare le malandate sorti dell’economia nazionale (sulla quale ci sarebbero da consumare litri di inchiostro), una presa di posizione di natura puramente ideologica. Nel momento in cui il coro unanime che si alza è un netto NO, a seguir quel poco di logica che ancora si spera si annidi nei meandri dei corridoi dei palazzi, vuol dire che alcuni partiti di centro sinistra (non mi riferisco ad ITALIA VIVA loro sono di destra e quindi sono legittimati a dire NO, a scanso di equivoci) non vogliono, o meglio ancora, non possono, prendere posizione in senso affermativo.

Se questa banale considerazione fosse vera, e non c’è niente di più banale della verità, vuol dire che il cortocircuito tra la base tradizionalmente rappresentata da certi partiti e chi detta la linea è già bello che consumato.

In definitiva si sacrifica, sull’altare di non si sa bene quale equilibrio, non solo la rappresentatività pura di una classe lavoratrice il più delle volte mal pagata e disorientata, ma anche quella flebile speranza di recuperare chi, dopo anni di mal sopportazione di questo tipo di atteggiamenti, da qualche anno si è abbandonato nelle braccia del populismo sovranista.

Ma il problema reale è che il tempo sta per scadere. La sinistra parlamentere deve decidere chi rappresentare, perchè il tempo dei due piedi in una scarpa è scaduto già da un pezzo. La rappresentatitvità in politica è tutto e bisogna fare scelte di campo.

Non si possono richiedere sforzi economici, oramai da più di dieci anni, solo e soltanto a chi ha uno stipendio (la battaglia contro gli statali, che sono i peggio pagati d’ Europa, sappiamo tutti da chi è stata portata avanti) e opporsi in maniera granitica ad una proposta che ha come solo obbiettivo quella di un riposizionamento rappresentativo. Il concetto della redistribuzione della richezza deve essere un dogma da chi ha come faro i vaori dell’uguagianza sociale.

Ecco perchè bisogna avere il coraggio di aprire sin da subito un conflitto dialettico su certi temi.

Rincorrere questa destra, che purtroppo conosciamo sin troppo bene, su temi quali la redistribuzione della ricchezza, l’ immigrazione vista come questione legata alla sicurezza e, non da ultimo, il valore della salute rispetto al profitto, non potrà che portare ad un appiattimento valoriale entro il quale i vari Salvini e Meloni sguazzeranno fino a prosciugare le ultime gocce di quella cosa strana chiamata ideologia.

Non si può perdere questa che è una delle ultime occasioni.

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