Tutti ricordiamo la frase choc pronunciata da Fabio Riva, ex proprietario e amministratore dell’Ilva, intercettata in un colloquio telefonico con un legale dell’azienda: “Due casi di tumore in più all’anno? Una minchiata”. In quella frase per la Corte D’Appello di Taranto si “riassume meglio di ogni altro elemento di prova la volontarietà della condotta delittuosa posta in essere dagli imputati e anzi la consapevolezza degli effetti dell’inquinamento sulla salute della popolazione tarantina”.
In realtà più volte la magistratura ha sottolineato come in questi anni l’azienda abbia portato avanti soltanto il profitto, nonostante si conoscessero abbondantemente i rischi legati alla produzione dell’acciaio con il processo e le attrezzature utilizzate a Taranto.
L’altra frase però da tenere a mente è: “Assicurare la continuità produttiva degli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale”. Questa però la utilizza lo Stato, negli innumerevoli “decreti salva-Ilva”, strumento ormai inflazionato da 11 anni e utilizzato da tutti – destra e sinistra – per affrontare la questione Taranto.
Quindi, se da una parte la magistratura condanna per disastro ambientale dall’altra lo Stato tutela chi lo compie, cercando anche di lasciare impunito chi continua ad avvelenare un’intera provincia. Machiavellico no!?
Insomma è anche abbastanza irragionevole che in tutti questi anni lo Stato non abbia minimamente preso in considerazione un concreto accordo di programma per Taranto ma abbia operato solo con la modalità nota a tutti: il decreto d’urgenza.
Per le Nazioni Unite, Taranto è una “zona di sacrificio” dei diritti umani. “Le zone di sacrificio rappresentano la peggiore negligenza immaginabile dell’obbligo di uno Stato di rispettare, proteggere e realizzare il diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile”. La Corte Europea ha più volte emesso condanne nei confronti dello Stato italiano per violazione gli artt. 8 e 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che tutelano il diritto al rispetto della vita privata e il diritto a un ricorso effettivo. La Magistratura tarantina, l’unica che opera per la difesa della salute dei cittadini e per contrastare il disastro ambientale, continua ad essere sotto attacco da parte di chi, per principi costituzionali, dovrebbe occuparsi dei cittadini e non sacrificare la loro salute in nome dell’interesse economico alla produzione.
Come può uno Stato considerare “interesse strategico nazionale” un’azienda in parte commissariata, in forte difficoltà finanziaria, che ancora ad oggi – come comunica l’Arpa Puglia in una nota del 5 gennaio 2023 destinata proprio ad Acciaierie d’Italia – immette in atmosfera elevate concentrazioni di benzene e continua a chiedere – e ricevere – soldi pubblici? Perché la vita dei cittadini di Taranto, della sua provincia e dei lavoratori non è mai stata considerata “interesse strategico nazionale”? Cosa racconterà lo Stato ai figli orfani di madri o padri morti di tumore a Taranto, ai genitori che non vedranno mai crescere i propri figli? Probabilmente qualcosa di poco diverso da quello che affermò Fabio Riva.