Una bottiglia nel mare: consigli di lettura. Yoga di Emmanuel Carrère

Barbara Bria

, Life Style

L’estate, come ben sapete, non è una stagione prolifica per le mie letture personali. 

Quest’anno tra il torneo letterario di Robinson e il lavoro, ho avuto l’onore, grazie ad un prestito, di leggere Yoga dello scrittore francese Emmanuel Carrère.

Inizialmente, e come si deduce dal titolo, sembra essere il classico libro sulla pratica dello yoga e sulla meditazione. I primi capitoli, infatti, trattano il percorso e la preparazione al seminario Vipassana. L’ingresso in questo seminario tra le tante regole, come il non portare libri, telefoni o altre distrazione, ne aveva una molto particolare: il non poter abbandonare il seminario prima del suo termine. Questa regola Carrère sarà “costretto” ad infrangerla in seguito all’attentato a Charlie Hebdo nel quale perse la vita un suo carissimo amico.

Il resto del libro è un racconto intimo di alcune situazioni che lo scrittore ha dovuto affrontare. La parte più importante, a mio personalissimo parere, è quella riguardante la sua malattia mentale. In questo capitolo della sua vita Carrère ha dovuto affrontare tutte le difficoltà di chi si ritrova catapultato in una clinica e non riesce più a comprendere se stesso. Un uomo che ha dovuto affrontare i suoi sbalzi d’umore, le sue tendenze suicide, il suo smarrimento. 

La storia di un uomo che piano piano si è ripreso la sua vita, finendo addirittura su un’isola greca condividendo le proprie giornate con una donna rimasta “imprigionata” lì e un gruppo di migranti sbarcati in attesa di poter raggiungere i loro parenti nel nord dell’Europa.

Insomma, un libro assolutamente da leggere, scritto da uno scrittore da amare fino al midollo. Un testo che davvero fa venir voglia di andare in aeroporto prendere il primo aereo per Parigi, cercare Carrère ed abbracciarlo fortissimo fino a fargli mancare il respiro e dire che “sì, andrà bene perché il peggio è ormai passato.”

“Chi avrei voluto essere? Un uomo stabile, un uomo sereno, un uomo su cui si può fare affidamento, un uomo buono, un uomo capace di amare. Perché la sola, autentica posta in gioco di questa lotta, la sola posta in gioco della vita è senz’altro l’amore, la capacità di amare. Invalido come sono, ho cercato di puntellare questa capacità dedicandomi a discipline, quali le arti marziali, che mirano a far affiorare dentro di sé qualcosa che non sia l’ego. Trentacinque anni di scrittura, trent’anni di tai chi, di yoga, di meditazione per far affiorare tutto l’amore che può esserci dentro di me: nessuno potrà dire che non ho provato, nessuno potrà dire che non ho lottato.”

Foto dal web

Lascia un commento