La Pace è un diritto umano fondamentale?

Dalla guerra di Corea del 1950 alla guerra in Ucraina del 2022 è l’interrogativo che il mondo non cessa di porsi

di Etta Ragusa, Casa per la pace-Grottaglie

Sì, la pace è un diritto umano fondamentale che riguarda tutte le persone e tutti i popoli. E come tale è stato riconosciuto dalla Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e definito dal relativo Statuto denominato Carta delle Nazioni Unite, approvate nel 1945. (*)

Tuttavia la lunga serie di conflitti armati succedutisi dalla guerra di Corea del 1950-53 all’attuale guerra in Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022, pone seri interrogativi sulla efficacia del riconoscimento del diritto alla pace dal momento che a scatenare le varie guerre sono quasi sempre gli stessi Stati che hanno sottoscritto la Dichiarazione dei diritti umani.

Ma affinché il riconoscimento di un diritto sia efficace, ad esso deve corrispondere un dovere. Come giustamente affermano Gandhi “la vera fonte dei diritti è il dovere” e Simone Weil “un diritto non è efficace di per sé, ma solo attraverso l’obbligo cui esso corrisponde”.

E allora come la mettiamo con gli Stati che da una parte firmano la Dichiarazione dei Diritti umani e dall’altra ricorrono alla guerra per risolvere i conflitti?

La risposta la dà Antonio Papisca, uno dei massimi esperti mondiali in diritti umani e, presso l’Università di Padova, già docente di Tutela internazionale dei diritti umani, fondatore del Centro Diritti Umani, e titolare della Cattedra UNESCO in Diritti umani, democrazia e pace. (**)

Commentando l’articolo 28 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, Papisca afferma: Se alla persona e ai popoli è riconosciuto il diritto alla pace, come diritto fondamentale, ne consegue che agli stati è automaticamente sottratto il diritto di far la guerra e viene loro imposto il dovere di far la pace”.

Infatti per Papisca nell’articolo 28 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo -che recita:“Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possono essere pienamente realizzati”- sono sottintese per gli Stati sia la sottrazione del diritto di fare la guerra, sia l’imposizione del dovere di fare la pace.

Tanto è vero, precisa Papisca, che il “nuovo” Diritto internazionale basato sulla Carta delle Nazioni Unite definisce la guerra come “flagello”, la ripudia e la interdice.

Tuttavia lo stesso Diritto Internazionale riconosce “L’uso della forza militare, per fini diversi da quelli tipici della guerra, dunque per fini di giustizia (difendere la vita delle popolazioni, salvaguardare l’ambiente e le infrastrutture vitali, acciuffare i presunti criminali e consegnarli ai tribunali internazionali, ecc.). ma tale uso della forza militare “è avocato all’ONU quale autorità sopranazionale, deputata a gestire il sistema di sicurezza internazionale”.

E il diritto alla pace è stato mai applicato?

La risposta è in larga parte negativa, sebbene l’Assemblea generale dell’ONU, memore della fine fatta dalla Società delle Nazioni, e consapevole del rischio di un possibile conflitto nucleare oltre che della crescente pericolosità delle odierne sofisticate armi chimiche e batteriologiche, abbia continuato ad approvare normative perché sia rispettato il diritto dell’umanità alla pace.

La Carta ancora oggi “rimane inattuata per le parti più delicate: gli Stati hanno l’obbligo di conferire parte delle loro forze militari, in via permanente, alle Nazioni Unite, ma finora nessuno di essi ha adempiuto a tale obbligo”, afferma Papisca. E i Caschi Blu dell’ONU in non poche missioni di pace hanno mostrato la loro inadeguatezza.

Inoltre mai risolto e neppure affrontato è stato, nella procedura di voto, il problema del veto di cui dispongono i 5 membri permanenti e cioè Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti. Esso consiste nella possibilità di impedire, tramite voto contrario, l’adozione di una delibera da parte del Consiglio. Da più parti si continua a richiedere di eliminare tale privilegio, ma i membri permanenti fino a oggi non hanno acconsentito a emendare la Carta.

La guerra di Corea del 1950-53 tra il Nord comunista e il Sud anticomunista dimostrò ben presto che le due potenze mondiali si sarebbero confrontate nei paesi del sud del mondo, soprattutto nel sud-est asiatico e in America Latina, mentre cominciava ad emergere la Cina, dal 1949 Repubblica popolare comunista. In tutte queste guerre sempre poco spazio è stato lasciato all’ONU come autorità sopranazionale. Mentre sfrenata è sempre stata la corsa al riarmo sia convenzionale che nucleare, e oggi possiedono armamenti nucleari Russia, Stati Uniti, Cina, Francia, Regno Unito, Pakistan, India, Israele e Corea del Nord.

Dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989 il Segretario Generale dell’Onu, Boutros-Boutros Ghali, dietro incarico del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite redige il famoso Rapporto “Un’Agenda per la Pace”, in cui gli Stati vengono messi di fronte al muro delle loro responsabilità  in quanto si dice chiaramente che non ci sono più alibi per gli Stati e che è urgente far funzionare l’Organizzazione delle Nazioni Unite nel delicato campo della pace e della sicurezza internazionale. (***)

Ma dal 1990 a oggi si sono succedute e sono tuttora in atto guerre in ogni parte del mondo, definite ipocritamente ‘preventive’, ‘umanitarie’ o ‘denazificatrici’ e, con l’attuale guerra in Ucraina, per la seconda volta il conflitto armato si è presentato in Europa. Si è determinata così una realtà mondiale diametralmente opposta a quella contenuta nella Carta delle Nazioni Unite  e  nell’Articolo 28 della Dichiarazione universale.

Tuttavia già dal tempo della guerra fredda e fino a pochi anni fa l’Onu ha tentato di far rispettare l’articolo 28 della Carta e rendere effettivo per gli Stati il dovere di fare la pace.

Nel 1966 è approvato il Patto internazionale sui diritti civili e politici che all’articolo 20 sancisce che “qualsiasi propaganda a favore della guerra deve essere vietata dalla legge”. (***)

Nel 1978 l’’Assemblea generale dell’Onu adotta la risoluzione 33/73 che nell’articolo 1 dichiara: “Ogni nazione e ogni essere umano, a prescindere da considerazioni di razza, coscienza, lingua o sesso, ha il diritto intrinseco a vivere in pace. Il rispetto di tale diritto, al pari degli altri diritti umani, risponde agli interessi comuni di tutta l’umanità e costituisce una condizione indispensabile per il progresso di tutte le nazioni, grandi e piccole, in tutti i campi.”

Nel 1984 viene adottata la Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace, in cui solennemente si proclama che i popoli del nostro pianeta hanno un sacro diritto alla pace e si dichiara che “la tutela del diritto dei popoli alla pace e l’impegno alla sua attuazione costituiscono un obbligo fondamentale di ogni Stato”. (***)

Nel 1995 la Conferenza generale dell’Unesco adotta la Dichiarazione di principio sulla tolleranza, in cui che all’art. 1 si legge che “gli esseri umani … hanno il diritto a vivere in pace”. (***)

Nel 1999 la Raccomandazione del Parlamento Europeo richiama gli Stati alla necessità della“istituzione di un corpo civile di pace europeo”. (***)

Dal 2012 al 2016 viene elaborata e approvata la Dichiarazione ONU sul diritto alla pace, con 131 voti favorevoli, 34 contrari e 19 astenuti (gli USA votano contro e l’’Italia si astiene, ma la Russia, che ha votato a favore, nel 2014 si era già ‘annessa’ la Crimea e nel 2022 bombarderà l’Ucraina). (***)

Abbiamo speranze? Cosa possiamo fare?

Antonio Papisca già nel 2009, nel commento all’art.28 della Carta, affermava: “Le guerre continuano, sono illegali, non portano alla vittoria, si alimenta il terrorismo, si pratica la tortura in guanti più o meno bianchi, si restringono le libertà fondamentali con i ”Patriot Act”… il mondo subisce il tracollo dell’economia mondiale basata sul neoliberismo e sulle speculazioni finanziarie in un contesto di rinnovata corsa al riarmo. Più che mai, occorre agire perché il diritto umano delle persone e dei popoli alla pace sia rispettato secondo un’Agenda politica che esalti il primato della legalità dei diritti umani (la forza della legge) sul richiamo della foresta della Realpolitik (la legge della forza).

Inoltre a tali conseguenze si devono aggiungere le guerre combattute per i combustibili fossili e le negative ripercussioni sull’ambiente e sui cambiamenti climatici dovute sia alle guerre che alla fabbricazione degli armamenti e alle attività militari. Il mondo spende qualcosa come 2 trilioni di dollari all’anno per i suoi militari. Almeno la metà di quella gigantesca somma va alla produzione militare con una enorme produzione di CO2. Come documentato nella conferenza “The Elephant in the Living Room”. (***)

Quello della pace è un diritto universale, riconosciuto e definito. Ma Stati e Governi non ottemperano all’obbligo che ad esso consegue, cioè quello di mantenere e promuovere la pace. Anzi, tale obbligo è da essi volutamente ignorato quando non ostacolato. Come dimostrano la procedura di veto mai riformata, le votazioni contrarie, le astensioni colpevoli, la sordità di fronte a proposte pacificatrici come l’istituzione di Corpi civili di pace e l’Agenda per la pace di Butros Ghali.

A farne le spese sono persone, comunità e popoli, vittime dirette per morte e distruzione, o     vittime indirette per crisi economiche, finanziarie, sanitarie e climatiche. Allora dobbiamo essere noi come persone, comunità e popolo di pace a smascherare l’ipocrisia degli stati e dei governi e  a reagire affinché il dovere di fare la pace prevalga sul diritto di fare la guerra. E adoperarci dal basso, con iniziative concrete (vedi riquadro), affinché l’Organizzazione delle Nazioni Unite sia davvero l’Autorità sopranazionale deputata a gestire il sistema di sicurezza internazionale di cui parlano la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e la Carta delle nazioni Unite.

Lascia un commento