Femminicidi e violenza: donne non tutelate dall’ordinamento

Ida De Carolis

, Attualità

Centinaia di chiavi agitate al cielo per ricordare che, il più delle volte, il mostro ha le nostre stesse chiavi di casa. Questo è stato uno dei momenti più toccanti della manifestazione organizzata dalla rete “Non una di meno” a Roma.

Dall’inizio dell’anno le donne uccise sono state 109 di cui 63 di queste ammazzate dal partner o ex. Da gennaio a novembre abbiamo perso una donna ogni 72 ore. È il tragico quadro che emerge dal report “Omicidi volontari” curato dal Servizio analisi criminale della Direzione centrale della polizia criminale, pubblicato dal Viminale. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, gli omicidi volontari sono cresciuti del 2% e quelli con vittime di genere femminile dell’8% (101 le donne uccise lo scorso anno fino al 21 novembre).

Crescono anche i delitti commessi in ambito familiare/affettivo. Le donne uccise da ex o da attuali compagni quest’anno sono il 7% in più rispetto alle 59 del 2020.

Seppur sempre più donne provano ad uscire dalla violenza – lo scorso anno le chiamate al numero antiviolenza 1522 sono aumentate dell’80% – i dati continuano incessantemente ad aumentare.


Il rapporto della Commissione parlamentare dati sui femminicidi, è molto chiaro: le donne non sono ancora sufficientemente tutelate dall’ordinamento. “In gran parte dei casi presi in esame dalla Commissione emerge, in primo luogo, una difficoltà a riconoscere la violenza nelle relazioni intime. Si tratta, come già in più̀ occasioni rilevato, anche di una diretta conseguenza della mancanza di strumenti, innanzitutto culturali, per leggere il complesso fenomeno della violenza di genere e per disinnescare gli stereotipi che ancora vedono i legami familiari fondati sulla naturale sottomissione delle donne a precisi obblighi e ruoli di genere. Quando le donne che non soggiacciono a detto meccanismo culturale e gerarchico, spesso sostenuto e legittimato dal contesto, denunciano o si separano, non sono sempre da tutti percepite come persone offese da proteggere e di cui tutelare il diritto umano ad una vita libera e dignitosa, ma, al contrario, sono talvolta ritenute “astute calcolatrici”, mosse da una volontà vendicativa nei confronti dei loro compagni anche attraverso i figli. In altre parole, l’operatore giudiziario privo di una specifica formazione sulla violenza di genere non riconoscendo la connotazione di genere della violenza non valuta e, quindi, minimizza la disparità di potere in quel contesto familiare, in aderenza a stereotipi consolidati”.


Ma non solo. Nel rapporto viene rilevata una seconda grande criticità: l’inadeguata conoscenza dei fattori di rischio del femminicidio da parte dei vari operatori coinvolti. In alcuni casi valutati dalla Commissione, le forze dell’ordine hanno “qualificato” le violenze come semplici liti famigliari o ridimensionando lo stalking a “semplici” molestie telefoniche.

In sostanza, dalla lettura completa della relazione ciò che risulta in modo evidente è che sicuramente la radice della violenza contro le donne risiede in stereotipi culturali che fissano schemi comportamentali e convinzioni profonde, frutto di un radicato retaggio storico e di un’organizzazione discriminatoria, che stabiliscono l’identità sociale di un uomo e di una donna; dall’altra parte la risposta istituzionale non sufficientemente adeguata rischia di alimentare un clima di sfiducia nelle istituzioni da parte delle donne che subiscono violenza.


Cosa continuare a fare? Bisogna realmente affrontare la questione femminicidio e violenza sulle donne come un’emergenza sociale anche perché i dati parlano chiaro. Il femminicidio è un’emergenza sociale che deve essere contrastata alla radice con un lavoro unanime e con la responsabilità di tutti i soggetti sociali e le istituzioni (famiglia e scuola, in primis), altrimenti tutti questi omicidi diventeranno delitti di Stato tollerati per l’incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne.

Foto Non una di Meno Roma

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