A breve saremo tutti chiamati ad esprimere la nostra posizione in merito al taglio dei parlamentari. Una questione da non sottovalutare sulla quale bisogna essere informati per conoscere gli scenari che si aprirebbero in caso di vittoria del NO ed in caso di vittoria del SI.
Noi crediamo fortemente che l’impostazione attuale del referendum non risolva il problema centrale del paese che è la mancanza di qualità, e non si può risolvere semplicemente tagliando la rappresentanza con una legge elettorale che non da garanzie, soprattutto al sud.
Siamo d’accordo che oggi i nostri rappresentanti in parlamento siano (fortunatamente solo in alcuni casi) inadatti e poco utili a governare il nostro paese, ma prima di tagliare in maniera semplicistica va analizzato il motivo per cui oggi siamo prevalentemente scontenti dei nostri rappresentanti. E non possiamo mancare di evidenziare le lacune di cui è dotata la legge elettorale, che consente per esempio a pochi prescelti di essere candidati come capolista in diverse circoscrizioni ed in liste bloccate, garantendo di fatto il posto da parlamentare a gente che mai avremmo scelto (soprattutto al sud) .
Ora proiettiamo questo scenario: dopo il taglio dei 345 parlamentari in eccesso, ne resteranno solo 600 scelti sempre con lo stesso metodo che non ci darà la possibilità di indicare nome e cognome di un candidato da noi scelto, esattamente come avviene per le amministrative e per le regionali.
Immaginate un parlamento composto da 600 Scilipoti, Razzi e via dicendo, un parlamento dove quei 345 tagliati potrebbero essere proprio quei parlamentari meritevoli della nostra fiducia ma poco affini alle logiche di partito.
Si parla anche di costi della politica e privilegi annessi, per cui in linea di principio condividiamo anche il bisogno di ridurre tale peso per avvicinarlo ad una giusta equità sociale. Ma anche in questo caso ci pare troppo semplice la soluzione individuata, perché non porta giustizia ma riempie appena quel buco nella pancia di molti italiani, si parla di un risparmio pari allo 0,007% della spesa pubblica.
Riteniamo però che in una situazione ideale tale costo non sarebbe avvertito come peso se il sistema funzionasse, ma ciò non giustifica la mancanza di criterio adottata con il quesito del referendum. Ci sono metodi migliori come ad esempio la definizione di indicatori di performance che incidono sugli stipendi dei parlamentari, rapportare ai risultati, al PIL, alle presenze potrebbe dare un segnale forte nei confronti dei cittadini e soprattutto rappresentare una forte motivazione per chi vive la politica come una missione, o un deterrente per chi vive la politica come una occupazione.
Sempre in tema di costi ci sono anche quelli di “contorno” come i vari costi per staff, portaborse e consulenti vari che non vengono minimamente accennati.
Per cui ci chiediamo se questo referendum può rappresentare realmente un segnale di cambiamento oppure se è solo un modo per tenere buoni, per poco tempo, il popolo affamato.
Per questi motivi noi scegliamo di votare NO al referendum del 20-21 settembre prossimo.