Ex-ILVA: realmente la soluzione è nazionalizzare?

Ida De Carolis

, Attualità

Bisogna stare attenti quando si parla di “Nazionalizzazione” di un’azienda di importanza strategica nazionale e bisogna prestare particolare attenzione quando l’argomento riguarda lo stabilimento Ex-ILVA di Taranto che, oltre ad avere evidenti problemi impiantistici e di mercato, ha soprattutto il peso di incidere sulla salute di operai e cittadini.

Nazionalizzazione, una parola utilizzata dal parter politico nazionale con cui molti si sono lavati la coscienza quando venivano intervistati sulla questione, aderendo agli ordini di scuderia che imponevano di non creare problemi sul dramma tarantino.

Eppure ci sono stati momenti in cui si poteva incidere, sin dai tempi della spregiudicata azione Calenda-Renzi targata PD, fino a quella fantascientifica targata 5 stelle che affermava di chiudere lo stabilimento in 15 giorni senza nemmeno uno straccio di piano post/gestione.

Cosicché siamo arrivati a dicembre 2020 in cui si continua a perseverare negli errori, foraggiando multinazionali predatrici di mercato e utilizzando lo strumento della nazionalizzazione per socializzare le perdite e privatizzare i profitti.

Il governo ha deciso di aiutare MITTAL investendo, attraverso una sua controllata, un miliardo di euro senza uno straccio di piano innovativo, senza alcuna idea di riconversione industriale mortificando ancora di più gli ammalati della nostra terra che oramai subiscono incessantemente il diktat dei governi e di Confindustria, tutto con il benestare dei sindacati che a cadenze regolari si prodigano in finte opposizioni propagandistiche che producono come massima mobilitazione solo poche ore di sciopero.

Purtroppo questo è quello che ci tocca, dettato da una classe politica che non è in grado, nel 2020, di riprogrammare le attività industriali del nostro paese e che, per mettersi in pace con l’elettorato, propone assurdi piani di decarbonizzazione e nazionalizzazione.

Un’azienda decotta che non produce più ricchezza per il territorio, ma perdite e che inevitabilmente produce malattia e morte.

Nell’epoca della trasformazione tecnologica e dell’industria 4.0 dovremmo puntare ad altro: logistica, porto e interporto potrebbero essere un volano occupazionale senza precedenti, alimentando così un settore che nelle altre parti del mondo è in piena crescita ed evoluzione.

Invece noi preferiamo foraggiare aziende oramai a fine ciclo, senza uno straccio di prospettiva e senza nemmeno un’idea vera di rilancio, quello che su Taranto è stato raggiunto è un accordo sul tirare a campare, allungando un’agonia che ha una storia già scritta dalla magistratura nel 2012.

Non meravigliamoci se nessuno più crede ai programmi politici o alle battaglie sindacali su Taranto, i responsabili di tutto ciò hanno nomi e cognomi, ma per fortuna il tempo li sbugiarderà e ridarà a Taranto quella dignità che merita.

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