Joe Biden, il più sportivo di tutti

Andrea Nigro

, Politica, Sport

Il 2020 passerà alla storia come un anno storico, tutto il mondo lo sta patendo sulla propria pelle. Se la pandemia globale ha scosso profondamente le fondamenta del nostro vivere, diventando l’argomento topico intorno al quale si svilupperanno tutte le storie che narreranno di questo maledettissimo 2020, il divampare delle proteste promosse dal BLM (Black Lives Matter) movement e le conseguenze che ha avuto a cascata sulla società civile, in primis quella americana, troverà il suo spazio sui libri di storia.

Con l’esplosione delle proteste negli Stati Uniti, immediatamente, gli sportivi americani sono scesi attivamente in campo per perorare la causa del BLM.

Sport e socialità costituiscono uno strano binomio negli States, certamente molto più profondo di ciò al quale siamo abituati alle nostre latitudini: nella storia ci sono stati numerosissimi esempi di sportivi che hanno attivamente contribuito alla diffusione di cause sociali importanti. Per fare i primi esempi che vengono in mente: Tommie Smith e John Carlos sul podio dei 100 mt a Città del Messico, Muhammad Ali e il suo attivismo a favore della popolazione nera ed islamica, Megan Rapinoe e le sue battaglie per affermare i diritti delle coppie omosessuali e Colin Kaepernick, quarterback NFL che ha sdoganato il gesto celebre dell’inginocchiarsi durante l’inno come segno di protesta contro le ingiustizie razziali negli USA.

Le proteste che hanno scosso tutta l’America hanno attecchito e hanno trovato una cassa di risonanza importantissima nella NBA. La Lega sportiva più visibile e importante del mondo. La passione per la palla a spicchi e per la Lega americana unisce tutti. L’NBA è in assoluto la Lega più cool e pop del mondo, i protagonisti, dunque, sono superstar. In ambito sportivo sono pochissimi gli “altri” protagonisti in grado di concorrere con le superstars NBA in materia di popolarità. I giocatori NBA sono attivamente scesi in strada in testa ai cortei che hanno svegliato la coscienza civile in America e nel resto nel mondo, contribuendo in maniera decisiva alla diffusione dei temi della lotta civile promossa dal BLM.

Damian Lillard in testa ad una manifestazione a Portland.
Enes Kanter, centro Turco dei Boston Celtics partecipa ad un corteo indossando la sua maglia. Kanter, da anni attivita per i diritti civili in Turchia, è ricercato dal regime di Erdogan.

Durante il periodo di stop forzato della stagione causa pandemia, le star NBA hanno contribuito attivamente sui social e tra la gente alla diffusione dei messaggi di uguaglianza che a queste erano collegate. La stagione poi è ripartita e le squadre e la Lega si sono attivate per fare ancor di più.

La stagione è ripartita in maniera anomala: per limitare gli spostamenti intercontinentali, abbattere le possibilità di contagio e poter garantire la fine delle regular season e lo svolgimento della post-season 22 delle 30 franchigie che compongono la Lega, quelle al momento dell’interruzione ancora in corsa per la qualificazione ai play-off, si sono rinchiuse nella bolla. Una organizzazione maniacale che ha visto l’NBA trionfare dal punto di vista organizzativo: tutte le strutture sono state allestite all’interno di Disneyland ad Orlando, in Florida, e la stagione è stata regolarmente portata a termine (seppure in ritardo rispetto agli standard canonici della Lega) incoronando i Los Angeles Lakers di LeBron James campioni.

La diffusione dei temi sociali che hanno scosso gli Stati Uniti è stata messa al centro dei dialoghi tra i proprietari, la associazione giocatori e la Lega.

Le 30 franchigie si sono impegnate a stanziare del denaro che verrà utilizzato per la realizzazione di attività ed infrastrutture inclusive, a favore delle minoranze sociali. Inoltre, con l’iniziativa “VOTE” i giocatori e le franchigie hanno sensibilizzato al voto i giovani. Ogni franchigia ha messo a disposizione le proprie infrastrutture, chiuse a causa del Covid, a favore della macchina organizzativa delle elezioni. Una iniziativa particolarmente apprezzata dall’ex presidente Trump che ha commentato: “La NBA non si deve occupare di politica, non è compito suo. Si stanno mettendo in grossi guai”.  Bisogna dire che i rapporti tra l’NBA e Trump non sono mai stati idilliaci, basti pensare che durante il mandato del presidente uscente le franchigie campionesse in carica si sono rifiutate di recarsi alla Casa Bianca, in occasione della consueta visita che si tiene in occasione della trasferta a Washington. Un trend iniziato da Steve Kerr e i suoi Golden State Warriors e che si sarebbe sicuramente protratto in caso di una riconferma di Donald Trump.

I Los Angeles Lakers inginocchiati al momento dell’esecuzione dell’inno nazionale. Indossano la versione gialloviola della maglia VOTE, per sensibilizzare la popolazione ad esercitare il proprio diritto di voto

I giocatori hanno potuto indossare, sulle loro divise da gioco, il loro nome oppure un messaggio (in inglese o nella loro lingua madre) tra i 29 approvati dalla NBA.

I giocatori non hanno perso occasione per fare informazione, sensibilizzare e scontrarsi con la società civile più retrograda.

Non si pensi che la Lega, intesa come la NBA, sia nuova a queste battaglie: LeBron James, la star delle star, è da anni promotore del progetto “I Promise” che ha garantito istruzione di livello a tantissimi giovani dell’Ohio come lui. Nel 2014 i Los Angeles Clippers intrapresero una crociata contro il loro proprietario, Donald Sterling, accusato da TMZ di aver pronunciato delle frasi razziste nei confronti di una donna afroamericana. Sterling è stato bandito a vita dalla Lega e costretto a cedere la franchigia.

Barack Obama è stato molto attivo nel coinvolgere le star dello sport all’interno dell’opinione pubblica, comprendendo per primo il valore delle persone prima che quello dei personaggi. Suonerà molto strano per noi che vediamo quei pochi sportivi che fanno davvero atti di impegno civile come delle mosche bianche in un panorama desolante di democristianesimo.

Prendere posizioni è sconveniente, e l’opinione pubblica cerca immediatamente di screditarti. È famosissima la frase della giornalista di Fox (lo stesso network che tutt’ora rifiuta di assegnare la vittoria elettorale a Biden) Laura Ingraham pronunciata in diretta televisiva in riferimento a LeBron James: “Shut up and dribble” (Zitto e palleggia). La NBA ha poi trasformato la frase nel titolo di un documentario sull’impegno sociale della Lega. Canestro e libero supplementare.

Tornando alla narrazione della bolla, gli equilibri, precari, che si erano creati ad Orlando, sono stati scossi dall’ennesimo omicidio commesso da alcuni poliziotti ai danni di un ragazzo afroamericano: Jacob Blake, ammazzato dinanzi ai suoi figli con sette colpi di pistola. Il fato ha voluto che l’omicidio, avvenuto a Kenosha (Wisconsin) sia stato commesso poche ore prima della Gara 5 del primo turno dei play-off tra Milwaukee Bucks, principale franchigia dello stato, e gli Orlando Magic. I Bucks, con George Hill, un veterano NBA, a far da portavoce, hanno deciso di non scendere in campo in segno di protesta, immediatamente seguiti dai Magic e dagli arbitri.

Resterà iconica l’immagine del campo vuoto, con i led che continuano a trasmettere le solite immagini che hanno accompagnato le gare nella bolla. Un gesto incredibile, per una Lega che ha deciso di continuare anche poche ore dopo una delle tragedie che più l’hanno scossa, ovvero la morte di Kobe Bryant.

L’immagine simbolo del boicottaggio di Gara 5 deciso dai Milwaukee Bucks e gli Orlando Magic

Dopo un lungo momento di contrattazione la stagione è poi terminata. Non senza scossoni (dopo il boicottaggio moltissimi giocatori volevano tornare nelle strade) ed è arrivato finalmente il momento del voto.

Cosa c’entra Joe Biden con questa storia? Direttamente poco, indirettamente tanto. La sua candidatura è stata benedetta da una categoria, quella della star dello sport, che troppo spesso si schernisce e sottovaluta per partito preso. L’ iniziativa della NBA è stata una grande vittoria dei giocatori, dei proprietari e del Commissioner Adam Silver il quale ha vinto largamente la sfida più grande della Lega, portando a termine la stagione 2019-2020, quella della morte di Kobe, del Covid e delle proteste con una vittoria sportiva, organizzativa e, soprattutto, morale.

La Nba ha contribuito ad inchiodare la sconfitta di Trump, proprio come fece LeBron James con Andrè Iguodala la notte del 19 Giugno 2016 alla Oracle Arena. Il povero Andre, probabilmente, si dispiacerà più di essere diventato Trump nell’immagine che il Re ha condiviso al mondo per celebrare il risultato elettorale che per quella stoppata, ne sono certo.

PS: Proprio nelle ore in cui ultimavamo questo pezzo la NBA ha annunciato i membri della “Coalizione per la Giustizia Sociale” creata per dare seguito alle proteste scoppiate nella bolla in seguito all’omicidio Blake. Entreranno a far parte di questa coalizione Micky Arison (Miami Heat) Steve Ballmer (Clippers) Clay Bennett (Thunder) Marc Lasry (Bucks) e Vivek Randadive (Sacramento Kings) in rappresentanza dei proprietari, Carmelo Anthony, Avery Bradley, Sterling Brown, Donovan Mitchell e Karl-Anthony Towns in rappresentanza dei giocatori e i coach Lloyd Pierce e Doc Rivers.

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