Transizione ecologica dell’ex Ilva: l’ennesimo appuntamento mancato. “Pochi” a decidere, tanti a pagare

È di qualche giorno fa l’annuncio da parte del Governo sulla spesa di ben 4,7 miliardi di euro per la transizione ecologica dell’ex Ilva.

Un vertice al Mise dove anche chi c’era a sentire, a discutere e a proporre non ha visto nemmeno l’ombra di quel piano industriale tanto sbandierato da più parti politiche e che a quanto pare dovrebbe traghettare Taranto verso un futuro migliore.

Vorremmo capire con chi è stato deciso un piano industriale che non c’è e con chi è stata decisa la spesa di ben 4,7 miliardi per la cosiddetta decarbonizzazione attraverso l’idrogeno, quando ancora non esistono modelli concreti di funzionamento del siderurgico attraverso l’uso dell’idrogeno, se non dei progetti pilota.

Perché a dirla tutta, la questione Ex Ilva non riguarda solo ed esclusivamente Taranto, ma la provincia intera ed è un diritto sacrosanto rivendicare il coinvolgimento degli enti locali e dei cittadini stessi che, se pur su posizioni diverse tra di loro, non possono continuare a subire passivamente le decisioni dei gruppi di potere; perché oltre al danno ambientale c’è anche quello occupazionale che preoccupa e non poco.

Ma intanto fino al 2025 forse o anche più, dovremmo “fare un ulteriore sacrificio ambientale” a detta del presidente Emiliano.

Questa è la solita favoletta che continuano a propinarci quando gli interessi politici ed economici sull’acciaieria sono così forti da mettere da parte le morti per inquinamento, le condizioni di insicurezza all’interno della fabbrica e il dramma sociale che vivono migliaia e migliaia di cassaintegrati: sono circa 7.000 nell’arco di soli 25 Km.

La verità è che i grandi partiti politici, i quali cercano di presentarsi sotto una veste nuova, stanno proseguendo esattamente sulla strada di sempre: decidere tra i pochi grandi e continuare a lasciare la nostra provincia attaccata ad un respiratore e ad una serie di ammortizzatori sociali, oramai diventati un habitué nei tavoli tematici. Anzi, più passano i mesi e più le vertenze industriali aumentano, vedasi il caso Leonardo.

Una storia infinita che di anno in anno si arricchisce di crisi industriali, probabilmente dettate dalla mancanza di una politica industriale innovativa che sappia cogliere le esigenze dei territori, soprattutto in un momento storico in cui il mondo sta cambiando radicalmente.

Ci viene da sorridere quando tutti volgono lo sguardo al mondo civico, il Partito Democratico su tutti, ma abbiamo la sensazione che da quel mondo non si ricercano pareri, ma solo voti utili a tenere in auge partiti che hanno grossissime difficoltà a coinvolgere le classi subalterne.
Classi annientate da un dibattito politico meschino che ha portato a pendere più dalla parte del profitto che da quella dell’operaio; una sorta di tranello che sembra assomigliare alla storiella del lupo che mangia la pecorella.

Abbiamo progetti con risvolti occupazionali fermi da vent’anni, Distripark e Agromed in particolare, che darebbero anche funzionalità al nostro aeroporto. Ma si preferisce puntare su altro, su qualcosa di vecchio e anacronistico anziché guardare al futuro sfruttando al meglio la programmazione dei fondi PNRR.

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