Imperversa ancora una volta la discussione exILVA aperta/exILVA chiusa, una sorta di litania che si ripete ogni qualvolta la magistratura si esprime in merito.
Sono trascorsi pochi giorni dalle richieste di condanna rispetto al processo “Ambiente Svenduto”, ma ancor meno tempo è passato dall’ultima sentenza del TAR che impone ad ArcelorMittal il rispetto dell’ordinanza emessa dal Sindaco di Taranto, obbligando i vertici del colosso dell’acciaio ad avviare lo spegnimento degli impianti dell’area a caldo entro 60 giorni.
Il sistema industriale tarantino è incompatibile con la vita umana e la pressione ambientale che ricade sul territorio dal 1965, quando l’Italsider era considerata il “dono del cielo”, non è più tollerabile.
Muoiono cittadini, lavoratori, adolescenti e bambini; una vera e propria mattanza legalizzata che si accanisce, in maniera istituzionalizzata, violentemente solo per difendere interessi di pochi e spesso senza produrre ricchezza, almeno in ambito locale.
Chi gode della produzione siderurgica Tarantina sono principalmente le aziende metalmeccaniche settentrionali, che, con il beneplacito del Governo, hanno chiuso le loro aree a caldo lasciando in vita solo gli impianti di rilavorazione e delegato Taranto per la produzione, l’inquinamento e la morte.
Uno scenario reale e confortante per la Confindustria settentrionale, avvallato da quella di Taranto, da Federmanager, che cura gli interessi dei dirigenti Mittal lautamente pagati per garantire produzione e stilare numeri per la cassa integrazione, e dai sindacati che continuano a inscenare finte guerre alla proprietà ma che all’occorrenza, con i vari Landini, Palombella e i Benaglia della situazione, sono pronti a massacrare mediaticamente le decisioni della magistratura e le pressioni dei movimenti ambientalisti che sono sempre più presenti nel dibattito pubblico, tutto nel nome del profitto, della produzione e dello sprezzante odio verso il territorio.
Un sistema ben collaudato e protetto dalla politica che, quando è necessario, sfodera decreti salva produzione o si cimenta in storie utopistiche come la decarbonizzazione, cavallo di battaglia di Emiliano e del sindaco di Taranto, o la favoletta ancora più ridicola della produzione all’idrogeno, intanto il tempo passa e Taranto muore.
In questi anni si è assistito solo all’impoverimento dei lavoratori, a una miriade di morti bianche, alle morti dei cittadini e all’arricchimento di una classe dirigente, ben radicata all’interno della fabbrica, che distribuisce benefit solo ai propri segugi e ama girare in lussuose auto aziendali ingorgati dai premi aziendali distribuiti ogni anno, perché si sa che le crisi se le piangono sempre gli stessi disperati.
Mentre tutto scorre, dentro e fuori la fabbrica, la gente muore e questo avviene nell’assoluto silenzio della politica e soprattutto dei rappresentanti sindacali che tacciono sulla situazione sanitaria gravissima che attanaglia la città.
Quando si parla di ricatto occupazionale ci si deve concentrare su come a Taranto sia stato istituzionalizzato, sin dal 2012 quando furono i confederali a “obbligare” gli operai a manifestare, facendo leva sulla paura di perdere il posto di lavoro e “criminalizzando” l’operato dei giudici.
D’altro canto mai una riflessione sulla situazione sanitaria, sul Rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità, nulla di tutto ciò che avrebbe potuto dare fastidio a Confindustria, a Federmanager e ai vari politici che in quello stabilimento hanno sempre tutelato i propri interessi, piazzando nello scacchiere sindacalisti e dirigenti.
Lorenzo Zaratta è morto a 5 anni di cancro e nei suoi organi sono state ritrovate polveri d’acciaio riconducibili alla maternità, perché probabilmente la mamma era sottoposta alle sostanze cancerogene emesse dai camini di Taranto. Come Lorenzo, tanti altri Lorenzo!
Basterebbe questo, ma ne parlano in pochissimi, non di certo Sindacati, Confindustria o la Politica. Ma che c’importa tanto abbiamo Landini, Palombella, Benaglia e “compagni” vari.