Mutilazioni genitali femminili, pratica brutale ancora troppo diffusa

Roberta Bria

, Attualità

Nel mondo sono oltre 200 milioni le donne e 44 milioni le bambine con meno di 14 anni ad aver subito un taglio che, quando non le condanna a morte, condiziona la loro vita per sempre.

Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), con l’espressione “mutilazioni genitali”, o circoncisione femminile, si fa riferimento a “tutte le pratiche di rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o ad altre alterazioni indotte agli organi genitali femminili, effettuate per ragioni culturali o altre ragioni non terapeutiche.”

Secondo la stessa, vi sono 4 tipologie: rimozione parziale o totale della clitoride e/o del suo prepuzio; rimozione parziale o totale della clitoride e delle piccole labbra, con o senza l’asportazione delle grandi labbra; restringimento dell’orifizio vaginale con creazione di una chiusura ottenuta tagliando e riposizionando le piccole labbra o le grandi labbra, con o senza l’ablazione del clitoride. In molti casi i lembi cutanei delle labbra sono cuciti insieme.

È una pratica diffusa in 28 paesi africani e in Medio Oriente. Alcune tracce vi sono anche in alcuni paesi asiatici come l’Indonesia, la Malesia o in alcune regioni dell’India. In alcuni paesi, come l’Egitto, la Guinea, il Sudan, il Mali, la Somalia le donne tra i 15- 49 anni sottoposte a mutilazione genitale femminile superano il 90%, in Eritrea e in Etiopia sono tra l’80 e il 90%, in Burkina Faso e in Mauritania sono tra il 70 e l’80%.
Le mutilazioni genitali costituiscono un atto estremamente traumatico e hanno gravi conseguenze sulla salute fisica, psichica e sessuale delle bambine e delle giovani ragazze che le subiscono.

Un recente studio, condotto da Amref Health Africa in collaborazione con Amref International University sugli effetti della pandemia Covid-19 sulle mutilazioni genitali femminili e sui matrimoni precoci e forzati, ha mostrato un crescente numero di casi: circa 2 milioni di ragazze in più rischiano di subire questa pratica, visto che il Covid-19 ha chiuso scuole e interrotto programmi che aiutano a proteggere le ragazze da questa pratica.

Se pensiamo al nostro “diventare donne” immaginiamo la libertà di poter fare un tatuaggio, un piercing, fare un viaggio con gli amici, la patente, godere di un rapporto sessuale protetto.

Queste bambine sono costrette a seguire una tradizione, a sottostare a questo passaggio dall’infanzia all’età adulta, ad un rito che ufficializza il loro essere “donna”. Le costringe a movimenti contenuti e misurati a causa delle ferite subite.

Questa ritualità si trasmette da madre in figlia, da generazioni di donne ad altre donne ed è la dimostrazione pratica del pieno controllo sulla sessualità della donna che, privata dei suoi genitali, può essere considerata vergine e pura.

I cosiddetti professionisti della salute che eseguono le mutilazioni genitali femminili, stanno violando il diritto alla vita delle ragazze e delle donne, il diritto all’integrità fisica e il diritto alla salute e violano il loro mandato medico di “non nuocere”.

In Italia esiste una legge per prevenire, contrastare e reprimere queste pratiche, la “Legge 9 gennaio 2006” e prevede che chiunque pratichi l’infibulazione è punito con la reclusione da 4 ai 12 anni.

Il numero totale delle minori a rischio presenti in Italia è di 7.727. Purtroppo non esistono delle modalità di raccolta di dati in merito, ma la scuola è un luogo privilegiato per combattere queste pratiche. Insegnanti e personale scolastico, adeguatamente formato, hanno un ruolo fondamentale per prevenire e sensibilizzare.

Il compito di tutte e tutti è denunciare il più possibile, con ogni mezzo, queste atrocità.

Accogliere, ascoltare e rispettare tutte quelle ragazze e donne che infrangono con estrema forza questi tabù.

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