La pandemia delle fake news: nel 2020 +436% di bufale

Ida De Carolis

, Attualità

Il 2020 sarà ricordato nelle pagine dei libri di storia non solo per l’emergenza coronavirus, che ha creato una crisi sanitaria ed economica mondiale senza precedenti, ma anche per l’ondata di fake news sul coronavirus che si è riversata nel mondo.

In Italia lo conferma il report 2020 della Polizia Postale. I dati sono molto preoccupanti: rispetto al 2019 c’è stato un aumento di bufale del 436 per cento (da 21 a 134 segnalazioni arrivate agli agenti) con un +353,3 per cento di alert diramati dalla Postale (da 29 a 136).

A lanciare l’allarme bufale, a marzo in pieno lockdown, fu Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, il quale sosteneva che “sul coronavirus stanno circolando molte informazioni inesatte, tante leggende e in generale parecchia disinformazione in tutto il mondo. Fare disinformazione significa giocare con la vita delle persone”.

Da marzo in Italia, ma in generale in tutto il mondo, abbiamo assistito ad un proliferare di disinformazione senza precedenti: notizie inventate, rimedi medici con poteri miracolosi contro il coronavirus, improbabili teorie complottiste legate al 5G, a Bill Gates, a spie cinesi o laboratori canadesi. Per non parlare degli effetti nefasti dell’utilizzo della mascherina, dei benefici dei gargarismi con la candeggina, della sterilità (specialmente negli uomini) che porterebbe COVID-19, dell’immunizzazione degli extra comunitari sino ad arrivare alla trasmissione del virus tramite la verdura fresca. Insomma una quantità eccessiva di informazioni, per nulla verificate, che il più delle volte hanno viaggiato più veloci del virus stesso.

Un’ondata che ha spiazzato anche l’informazione stessa. Secondo l’ultimo Rapporto dell’Osservatorio sul giornalismo, durante l’emergenza Covid-19 i tre quarti dei giornalisti italiani, quasi il 73%, si sono imbattuti in casi di fake news e la maggior parte della disinformazione girava su fonti online come social, motori di ricerca e sistemi di messaggistica. Il 62% di questi ha usato strumenti digitali per verificare video/immagini/audio falsi, ma solo 1 su 5 ha prodotto articoli di fact-checking (verifica delle fonti), solo 1 su 10 ha fatto live fact-checking durante conferenze stampa o discorsi pubblici, e solo 1 su 20 è stato coinvolto in campagne di media literacy (capacità di utilizzare opportunamente i mezzi di comunicazione) volte ad aiutare i cittadini a identificare casi di disinformazione.

In un momento molto particolare nel quale “il mondo” chiedeva e aveva bisogno di notizie certe e rassicuranti, anche i giornalisti non sono riusciti completamente ad assumere il loro ruolo di debunker e quindi di “smentitori” di notizie false.

Dall’altra parte mai come nel 2020 abbiamo dovuto prendere atto della cruda realtà: la gente non legge quello che commenta o che condivide, legge solo il titolo. Se l’esperimento sociale del sito satirico Science Post fu solo una burla con un risultato incredibile (50.000 condivisioni di un articolo con un testo senza senso ma solo con il titolo “Ricerca: il 70% degli utenti di Facebook legge solo il titolo di quello che condivide”), altre ricerche successive hanno rilevato che 6 persone su 10 non leggono i post che condividono (il 59% dei link condivisi sui social media non sono mai aperti), l’anno della pandemia ci ha sbattuto in faccia come la popolazione formi le propri opinioni su un titolo o un generico sommario, non sforzandosi minimamente di andare più in profondità.

L’ultimo esempio a chiusura dell’anno? Il 10 dicembre 2020 Gianluigi Nuzzi, giornalista conduttore di Quarto Grado, pubblica un post Facebook riportante le seguenti affermazioni: “Oltre 30 anni di ricerche nessun vaccino per l’HIV. In meno di 1 anno è pronto il vaccino per il Covid. A voi non sembra strano? Forse c’è qualcosa che non va?”.

Un confronto che non solo vuole condurre fuori strada l’opinione pubblica ma, come l’ha definito Jean-Daniel Lelièvre, capo di immunologia clinica dell’ospedale Henri Mondor e responsabile della ricerca clinica all’interno del Vaccine Research Institute, “un confronto fuorviante e stupido”. Sarebbe bastata qualche piccolissima ricerca sul più grande motore di ricerca al mondo per scoprire che si tratta di due virus completamente diversi per riproduzione, azione e mutazione. Inoltre, sotto il profilo della trasmissione è ben noto che il virus HIV si trasmette attraverso lo scambio di fluidi corporei infetti, pertanto una trasmissione che, con le dovute cautele, è controllabile al contrario per il COVID-19 dove risulta molto più facile il contagio.

Insomma, la pandemia ci ha insegnato molto, ha investito e sconvolto le nostre vite in ogni loro aspetto ma soprattutto ha determinato che il COVID-19 non è l’unica minaccia da bloccare.

 

 

Foto di Wokandapix da Pixabay

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