L’attuale conflitto tra Russia e Ucraina ci sbatte “finalmente” in faccia l’urgente necessità di attuare concretamente e nel breve tempo possibile una vera transizione energetica, come chiesto dall’Europa, staccandoci da quel cordone ombelicale chiamato petrolio, gas naturale e carbone russo.
L’attuale Governo, invece di attuare interventi normativi e snellire i processi autorizzativi mette sul tavolo l’aumento della produzione nazionale di gas fossile, l’approvvigionamento di idrocarburi gassosi non provenienti dalla Russia, la ripartenza di gruppi termoelettrici a carbone od olio combustibile, il raddoppio di gasdotti operativi, la realizzazione di nuovi rigassificatori, sino a paventare un ritorno al nucleare, ma questa volta “verde” che se anche avesse zero rischi comporterebbe un arco di tempo di circa vent’anni per poter costruire un reattore. Troppo tempo.
Eppure, ad esempio, Elettricità Futura di Confindustria, principale associazione del mondo elettrico italiano, in una recente conferenza stampa ha dichiarato che “il settore elettrico è pronto a investire 85 miliardi di euro nei prossimi 3 anni per installare 60 GW di nuovi impianti rinnovabili e creare 80.000 nuovi posti di lavoro, dando un grande slancio all’economia italiana”. Tradotto in soldoni ci farebbero risparmiare 15 miliardi di metri cubi di gas ogni anno, che equivale a circa il 20% del gas importato e 7 volte quanto l’attuale Governo stima di ottenere con l’aumento dell’estrazione di gas nazionale.
Cosa chiedono? Nessun incentivo ma solo attuare entro l’estate un’azione straordinaria sugli iter autorizzativi insieme alle Regioni. E sì, perché la legge che regolamenta l’installazione di nuovi impianti è del 2010, abbondantemente superata per i nuovi standard, e prevede una serie di vincoli che il più delle volte possono essere molto diversi da regione a regione o anche da comune a comune. Serve una legge chiara e trasparente che tenga conto degli aspetti ambientali e paesaggistici dei vari territori, solo così le procedure potranno essere più snelle evitando di arenare progetti tra ricorsi e burocrazia.
Alcuni esempi? In Puglia “Lu sule, lu mare e lu ientu” è stato sicuramente uno degli slogan più riusciti per attrarre turisti nel Salento ma più in generale in Puglia. Ma sole, mare e vento sono tra le energie rinnovabili e sostenibili che proprio alla Puglia non mancano e che potrebbero essere davvero impiegate, non solo come richiamo turistico, per una vera transizione ecologica. Ma il più delle volte, proprio per via di una legge obsoleta e poco chiara, non è proprio così.
Nella rada del Porto di Taranto, in un contesto sociale, ambientale e sanitario profondamente segnato dalla presenza dell’ex-ILVA, ora Acciaierie d’Italia, nel 2008 la società Renexia presenta un progetto per la realizzazione del primo parco eolico off-shore italiano. Beleolico è il nome del parco che assicurerà, una volta in funzione, una produzione di oltre 58 mila MWh in grado di soddisfare il fabbisogno energetico annuo di 60 mila persone.
Quattordici anni tra VIA e VAS favorevoli da parte del Ministero dell’Ambiente e pareri sfavorevoli di Regione, Comune e Soprintendenza dei beni paesaggistici. Ricorsi, sentenze e solo qualche mese fa la società ha concluso le operazioni di posizionamento del primo aerogeneratore.
Nell’areale di produzione della DOC del Primitivo di Manduria ci sono ben due progetti di realizzazione di parchi eolici. Uno costituito da 22 aerogeneratori, ognuno con una torre alta circa 123 metri e un’apertura delle pale, da punta a punta, di 115 metri e l’altro con 19 aereogeneratori più o meno delle stesse dimensioni. Insomma due progetti che mal si conciliano con la vocazione del territorio e che non tengono conto del forte impatto paesaggistico che gli stessi potrebbero avere in un’area caratterizzata e conosciuta in tutto il mondo per la presenza predominante di vigneti, uliveti e muretti a secco.
Insomma, serve una legge univoca. Non si può assistere a progetti con pareri favorevoli da parte del Ministero dell’Ambiente e territori, che cercano solo di preservare le peculiarità dei propri luoghi, che contestano i piani a suon di ricorsi. Una normativa che dovrebbe all’origine indicare – con certezza – dove una cosa si può o non si può fare magari semplicemente facendo un censimento, a monte, delle aree disponibili sui territori.
Stefano Ciafani, Presidente nazionale di Legambiente evidenzia che se l’Italia avesse investito sullo sviluppo delle fonti di energie rinnovabili, con lo stesso risultato registrato nel triennio 2010‐2013, oggi l’Italia avrebbe potuto ridurre i consumi di gas metano di 20 miliardi di metri cubi l’anno, riducendo le importazioni di gas dalla Russia del 70%.
Lo stesso Presidente rilancia la proposta di Elettricità Futura senza però dimenticare che l’altro nodo su cui lavorare riguarda lo stop ai sussidi ambientalmente dannosi che continuano a pesare sui conti pubblici per circa 21,6 mld di euro l’anno.
La guerra ha sconvolto tutti gli equilibri politici ed energetici europei. Resta il fatto che l’Italia dovrà trovare una strada per superare l’era dei combustibili fossili e svincolarsi dalle lobby del petrolio, dal gas e del carbone. Questa è l’unica via a cui non si può sfuggire per contrastare i cambiamenti climatici evitando anche di finanziare proprio quelle materie che sono i motori alla base delle guerre.