1Maggio: auguri a tutti i “lavoratori”. Ovviamente l’augurio non è rivolto a noi, che non siamo “lavoratori” ma solo boccheggianti “operatori” della parola, dell’immagine, del suono, della bellezza, della divulgazione culturale, delle sensazioni, delle emozioni o del miglior farmaco distribuito durante tutte le varie chiusure e coprifuoco: l’intrattenimento. Mia nonna lo chiamava: “lu ‘ntartieno”.
Solita storia: ci materializziamo, e assumiamo “contezza”, solo in prossimità di campagne elettorali per mezzo di false consapevolezze spesso espresse da chi del significato morale e proprio etimologico del termine non sa un beneamato cazz*, e non se n’è mai fregato una “cippa”.
A questa “vecchiezza” dico: vergogna!
Perché esistono questi “operatori”? Perché hanno un significato? Qual è il vero concetto di “fare cultura”? Come caspita si investe in essa? La cultura si accontenta degli scarti? Si accontenta delle elemosine? La cultura può creare un indotto promiscuo territoriale? “Fare cultura” vuol dire sversare soldi solo e continuamente su sagre, balli tradizionali in costume o organizzazioni mercenarie “istituzionalizzate”? Qual è il senso? Ma soprattutto: quanto conterà il voto degli “operatori culturali” alle prossime elezioni ora che lo stereotipo schifoso e indegno che questa terra attribuisce loro da sempre è stato finalmente palesato dal politichese vecchio e speculatore?
TANTISSIMO. L’odore è nell’aria. Anzi: nello streaming!
Come si potrà aiutare una categoria che non è spesso riuscita a ottemperare a obblighi di legge e fisco per campare dato che per poter recuperare un pezzo di pane s’è inventata e accontentata dell’impossibile? Questa politica s’è mai chiesta “perché” questi “operatori” hanno dovuto immediatamente cambiare mestiere invece che attendere “decodifiche” e “ristori” che mai sarebbero potuti arrivare (e non arriveranno) per questa fascia fancazzista, stracciona e perditempo?
Lasciate perdere quelli che vedete nelle note TV nazionali o all’interno di grandi compagnie al fianco di volti notissimi (che anche quelli hanno da dire la loro); pensate soprattutto a quel mare di cittadini che per “campare di cultura” si saziano di briciole dure, stantie e saltuarie. Pensate al macchinista, allo scaricatore, ma anche alla comparsa, al figurante, al ciakkista, allo scrittore che abita alla porta affianco di “quel politico” che ora parla; e pensate a tutta quella gente che non poteva “dichiarare” perché la considerazione di questo settore non ha peso per nessuno e non è tutelata.
E pensate, in fine, a tutti quegli “operatori” che ancora sentono parlare di cultura a chi di cultura non sa un cazz*.
La realtà è che è tutelata solo l’“immagine” dell’“operatore”; e la politica non rinuncia mai all’immagine. Per questo li sfrutta solo quando serve.
Quindi: lasciateci stare! Lasciateci in pace nella nostra essenziale indigenza, e abbiate considerazione di noi quando inizierete a parlare la nostra stessa lingua e capire cosa vuol dure mangiare il nostro stesso pane.
1Maggio: auguri a tutti i “lavoratori” (così definiti). Non a noi.
Valerio Manisi