Lo abbiamo già detto e lo ribadiamo: in queste ore cruciali non arretreremo di un passo quando é in gioco la tutela del nostro territorio e della sua comunità.
Taranto e la sua provincia, dopo anni di decreti indecorosi, finalizzati a tutelare un modello di sviluppo insostenibile e criminale, non possono più essere il palcoscenico di una politica fatta di inutili passerelle e promesse mai mantenute. Confronto e ascolto sono utili, ma è il momento degli atti concreti e della progettazione di un futuro sicuro e alternativo, fatto di lavoro buono e ambiente salubre.
Si sente parlare di nuovo museo, nuovo
arsenale, rigenerazione urbana, distripark. Siamo convinti sia il tempo
di avviare il percorso, concreto e fattibile, delle alternative, che è
quello di cui intendiamo ragionare. Ogni misura orientata alla
riconversione produttiva, però, va preceduta dal fermo degli impianti
insicuri e inquinanti, sui quali i lavoratori continuano a rischiare la
loro incolumità e i cittadini la loro salute.
Anziché trattare con
una multinazionale che pretende di continuare la marcia di impianti
fatiscenti, scudi penali, sconti sull’affitto e migliaia di esuberi, la
politica farebbe bene a impegnarsi nel guardare oltre, varando un piano
di investimenti pubblici per garantire i redditi dei lavoratori e
avviando uno storico piano di bonifiche e riconversione
economico-industriale del territorio. Non partiamo da zero, ma da
esperienze, studi e dati già disponibili.
Non si dica ai cittadini che non ci sono soldi pubblici da investire, perché lo Stato, condannato dalla sentenza CEDU del 24 gennaio 2019 “per non aver difeso i suoi cittadini”, ci ha rimesso circa 4 miliardi di euro negli anni di commissariamento e amministrazione straordinaria. Quei soldi si sarebbero potuti investire per far partire la riconversione già sette anni fa.
La Germania ha già stanziato 100 miliardi di euro per un piano epocale di salvataggio del clima, fatto di svariate misure, tra le quali incentivi per modificare i cicli produttivi industriali per abbattere la CO2, l’abbandono del diesel, la conversione del trasporto pubblico all’elettrico, la chiusura delle miniere e lo stop di ogni produzione a carbone. C’è da credere che i tedeschi abbiano operato questa scelta perché sanno che, nel giro di 10/15 anni, questi investimenti produrranno effetti benefici in termini di sviluppo, nuove economie e posti di lavoro. Il Distripark è un progetto che prevede, a regime, la nascita di svariate migliaia di posti di lavoro nella retroportualità. Associazioni e comitati del territorio, sostituendosi a una politica miope e senza bussola, hanno scritto Piano Taranto che non è un documento di dettaglio, ma contiene linee guida, basate su studi, dati e numeri per la riconversione economica e sociale del territorio.
Non abbiamo ricette salvifiche o verità in tasca, ma di questi contenuti dovremmo iniziare a discutere. Per questo siamo impegnati nell’organizzazione di un grande evento, che terremo a Taranto nelle prossime settimane.
Come diceva De Andrè, “dal letame nascono i fiori”. Dal letamaio di un territorio violato e sacrificato sull’altare di un PIL che non misura mai benessere e sostenibilità è tempo di far sbocciare i fiori di un’era nuova, fatta di lavoro buono e progresso per la nostra terra e la sua comunità.