I legali dei commissari di Ilva in Amministrazione straordinaria hanno presentato alla Corte d’Assise di Taranto un’istanza di dissequestro degli impianti dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico, ora gestito da Acciaierie d’Italia.
Si tratta degli impianti sotto sequestro dal 26 luglio 2012 in base all’ordinanza che fu firmata dal gip Patrizia Todisco nell’ambito dell’inchiesta per associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari e alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. All’azienda però fu poi concessa la facoltà d’uso.
Secondo i legali dell’Ilva in As, allo stato attuale, lo scenario è cambiato, grazie anche agli interventi ambientali effettuati, e ci sono i presupposti per revocare i sequestri.
Abbiamo ascoltato il prof. Alessandro Marescotti, Presidente di Peacelink, pioniere della battaglia ambientale tarantina più volte accusato di essere allarmista, pazzo e uno che esagerava troppo. Le varie sentenze, prima fra tutte quella del processo “Ambiente Svenduto”, hanno confermato che la fabbrica per anni ha avvelenato la città e che il prof. “purtroppo” aveva ragione.
Prof. Marescotti insomma, da quello che scrivono i legali dell’Amministrazione Straordinaria, a Taranto il miracolo si è compiuto, l’ex-ILVA non inquina più.
Gli impianti dello stabilimento siderurgico inquinano ancora. Inquinano meno di prima, ma costituiscono ancora un rischio inaccettabile per la salute. Lo stanno a dimostrare tutte le ricerche epidemiologiche svolte fino ad ora. Anche le più aggiornate confermano un rischio inaccettabile per la salute nel quartiere più vicino, il quartiere Tamburi.
Per i legali “non è revocabile in dubbio che i beni sottoposti a sequestro debbano essere considerati, in ragione dell’attuazione del Piano Ambientale, radicalmente diversi da quelli che, originariamente, avevano consentito la perpetrazione dei reati contestati”. Di quali interventi del Piano Ambientale parlano? E soprattutto, sono stati così “impattanti” da aver reso l’industria non più pericolosa?
Do una risposta empirica. Se fosse vero che quegli impianti non inquinano più, i valori degli immobili del quartiere Tamburi salirebbero. Ma questo non avviene. Anzi: i proprietari non riescono a vendere le case per andare via da quel quartiere. Il quartiere è pieno di “vendesi”. È vero che molti interventi sugli impianti ILVA sono stati fatti, sotto la spinta della protesta popolare e della magistratura, ma la presa di coscienza del rischio sanitario, ancora elevato, porta chiunque lo possa fare ad andare il più lontano possibile dall’ILVA. Questo è un fatto, ed è innegabile.
Il dissequestro degli impianti sembrerebbe una delle condizioni poste da Acciaierie d’Italia per mantenere la gestione del Siderurgico con Invitalia. È l’ennesimo ricatto occupazionale?
Il dissequestro degli impianti è una delle condizioni senza la quale va in frantumi il contratto che è alla base di Acciaierie d’Italia, ossia l’azienda che gestisce gli impianti ILVA. E se va in frantumi il contratto va anche il piano industriale, ossia il futuro di questo stabilimento, con un inevitabile impatto anche occupazionale.
Considerando l’attuale mercato dell’acciaio e l’andamento dei prezzi, qual è il futuro dell’industria siderurgica italiana e soprattutto dell’impianto di Taranto?
È difficile da dire in questa situazione di guerra in corso. Il mercato degli ultimi due anni ha visto una ripresa dell’acciaio che però non è stata intercettata da Acciaierie d’Italia. La guerra ha reso centrali le materie prime che prima venivano considerate sovrabbondanti e ogni situazione di grave crisi, come quella attuale, è un frullatore che rimescola i fattori. Il governo italiano potrebbe considerare importante sganciarsi dalla dipendenza dal gas russo, dal carbone russo e anche dall’acciaio cinese. Questo cosa può provocare? Una nuova centralità dell’acciaio di Taranto. Ma manda in soffitta il progetto di “Ilva a gas” perché il gas è alle stelle. Tuttavia anche l’embargo eventuale sul carbone russo può creare problemi per lo stabilimento, che va a carbone. E già Acciaierie d’Italia ha fatto presente che un embargo verso le materie prime russe non la agevolerebbe, anzi. Come si può notare l’attuale mercato, così incerto e turbolento, non agevola questo stabilimento già claudicante. Il futuro rimane un’incognita. E temo che i fondi per la transizione ecologica vengano impiegati in armi piuttosto che in processi di riconversione economica green.