Invito alla visione di Valerio Manisi: “SanPa: luci e tenebre di San Patrignano”, o meglio: “La ballata di Muccioli”

Valerio Manisi

, Attualità

Disse Indro Montanelli: “Ci sono dei momenti in cui bisogna segregare un drogato e dargli anche un manrovescio e legarlo con le catene. Io approvo in pieno i metodi di Muccioli. L’educazione è crudeltà. (…) Quando ero ragazzo avevo Mussolini. Ho portato la camicia nera con entusiasmo fino all’età di anni 25, prima che il fascismo cominciasse a puzzare di morto”.

Non disse molto, ma probabilmente disse tutto.

Per la regia di Cosima Spender, da un’idea di Gianluca Neri, prodotto e distribuito da Netflix, parliamo della serie di successo “SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano”, opera seconda per la Spender dopo il docufilm “Palio” del 2015.

“SanPa” tende a riaccendere i fari, dopo circa trent’anni d’“indifferenza” mediatica di ogni genere, sulle vicende che riguardarono la comunità San Patrignano, fondata nel 1978 dall’ormai estinto Vincenzo Muccioli a Coriano, in provincia di Rimini.

Tanti apprezzamenti e tante polemiche ha ricevuto questa serie: polemiche per mezzo dell’eccessiva mancanza di attenzione rivolta a tutte quella testimonianze che avrebbero fatto emergere le “luci” di San Patrignano; apprezzamenti, invece, per l’ottimo lavoro eseguito da un punto di vista “produttivo” e “tecnico” che ormai da decenni non veniva speso sul “caso Muccioli”, incentrata tra gli anni ’70 e ’80. La serie, infatti, è da intendere (a differenza di quanto realmente è oggi San Patrignano, dalla “seconda generazione Muccioli” in poi) totalmente incentrata su quello che fu nell’‘83 il “processo delle catene” e la decadenza morale e politica di un uomo che raggiunse e manovrò da un capo all’altro vette politiche e sociali d’Italia.

Al netto delle variegate vicende processuali e penali che hanno riguardato Muccioli e “discepoli”, “SanPa” conta oggi una percentuale di recupero pari al 72% fra coloro che hanno portano a termine il percorso: 26 mila ragazzi con problemi di dipendenza accolti fino a oggi e 1200 attualmente in percorso. Al momento è ancora l’ONG più grande d’Europa e una delle più grandi al mondo. Sull’impegno e le spalle di ragazzi in fase di recupero dalla tossicodipendenza, è una delle scuderie più pregiate e ambite, uno degli allevamenti più prestigiosi di svariati generi di animali, una delle cantine più apprezzate, uno dei caseifici più raffinati; un’azienda, insomma, che produce incessantemente prodotti artigianali di qualità su vari settori e che costituiscono il sostentamento principale dell’immensa struttura, perché SanPa accoglie ancora gratuitamente.

Prefissato questo, il problema reale che “stava” alla base di San Patrignano è ciò che interessa a questa analisi, perché è dall’opera audiovisiva di Netflix che si parte e si discute; al netto di quelle migliaia di “luci” mancanti in ogni episodio, come quelle di personaggi di spicco della giurisprudenza, dell’economia, della magistratura, dell’intellighenzia, della politica (da Craxi a Pannella alla Iervolino) e dello spettacolo italiano come Paolo Villaggio ed Enrico Maria Salerno. L’opera parte da una “questione”, prerequisito importante anche per i dirigenti Netflix: “quanto male sei disposto a tollerare perché venga fatto del bene?”.

Dopo che venne alla luce documentazione compromettente,  che provava la detenzione di ragazzi e ragazze in fase di crisi di astinenza in piccionaie, stalle e barili vuoti con catene ai piedi, la corte d’appello stabilì, con la prerogativa di non ripetere mai più tali provvedimenti, che “il terapeuta può intervenire contro la volontà del tossico dipendente perché non è da considerare piena volontà. Praticamente: vi è una piena capacità di intendere ma una incapacità di volere, di volere il proprio bene, quindi tu che sei il terapeuta, e che hai vincolato attraverso il contratto questa persona, devi intervenire”.

La questione “tossicodipendenza” era un tema consapevolmente “rigettato” dalla società e dalla politica italiana fino agli anni ’70 e nei primi anni ’80. L’azione di Muccioli, sotto questo punto di vista, fu legalmente e mediaticamente rivoluzionaria. La corte d’appello, grazie al “processo delle catene”, dall’‘83 in poi, stabilì importanti e innovativi principi per la giurisprudenza italiana tanto da attrarre subito l’attenzione dell’istituzioni, della politica di ogni estrazione e dell’informazione italiana, così da accrescere in modo sproporzionato la fama e la possibilità di “manipolazione” che segnò in modo indiscusso la vita di Muccioli.

Tanti ragazzi in cura

+ tanti parenti fuori SanPa

+ tanti voti

= tanto potere per Muccioli.

Questo era l’algoritmico ormai all’apice dell’opinione pubblica italiana, sommato poi alla disperazione di famiglie, pronte ad accettare qualsiasi provvedimento per placare le estreme condizioni fisiche, psichiche ed economiche di figli e parenti tossicodipendenti, rappresentarono l’effettivo conflitto che caratterizzò il processo di “santificazione” o “condanna” per il fondatore della più grande ONG d’Europa. È un po’ come quando si dibatte di “ricatto occupazionale” o di “nostalgici” (“Mussolini era quello che era, PERÒ ha fatto…”).

In sommi capi, la “ballata di Muccioli” (è questo che racconta “SanPa” – così si sarebbe potuta intitolare con maggiore “onestà” e rispetto dell’odierna comunità – la serie Netflix se non fosse questa, legittimamente, “anche” un prodotto commerciale) è indiscutibilmente un’opera dalla scrittura, dalla narrazione e dalla regia di pregiata forma documentaristica; ma ancor più lo è il lavoro di montaggio: a dir poco eccellente. “SanPa” nient’altro non è che il racconto di una storia (in stile “Making a murderer”, per intenderci) che evidenzia per l’ennesima volta la contraddizione ideologica e filosofica che è alla base di una contraddittoria società. Una società che spesso giudica per convenienza e quasi mai con razionalità. Qualcuno ha detto “Muccioli aveva preso dalla sinistra la cultura hippy, dalla destra il rigore, dal filone mistico il culto della sua persona”, con tutto quello che questo possa significare.

San Patrignano, in conclusione, grazie e nonostante Muccioli, oggi è un’importante realtà riconosciuta in tutto il mondo. Ha salvato migliaia di vite e condizioni familiari in stato davvero estremo. In più, è stata la prima organizzazione ad accogliere e occuparsi dei malati di AIDS, trattando l’argomento su larga scala quando tutti si rifiutavano. Però: nessuna “santificazione” per Muccioli! Non sia mai! Nessun uso di violenza merita celebrazione, nessun intacco di ogni misura all’umana persona merita encomio! Nessuna forma di aggressione può essere posta alla base di un processo di reinserimento sociale, dato che la società stessa la deve necessariamente escludere dalla sua generica struttura. Questo è ciò su cui punta sostanzialmente “SanPa” by Netflix. Non bisogna ignorare il fatto che il “metodo Muccioli” ha rappresentato una scintilla (anche) pericolosa, generatrice di esplosioni di violenza, supremazia, misoginia, cameratismo, suicidio e morte, tra migliaia di bombe fatte uomo sempre più ai confini dell’esplosione.

L’ONG San Patrignano ha fatto sapere il 1° gennaio, tramite nota stampa ufficiale, che “si dissocia completamente dalla docu-serie messa in onda da Netflix”. E ha fatto bene! Perché, oltre la spettacolarizzazione di un prodotto atto a creare mero “intrattenimento” (così bisogna intendere soprattutto “SanPa”), vi è oggi la realtà di un’organizzazione che ha salvato e ancora salva migliaia di vite. Nonostante il suo passato.

Per il resto, mettiamola così: basta pensarla esattamente l’opposto di come la pensava al riguardo Montanelli.

 

 

“SanPa: luci e tenebre di San Patrignano” una serie televisiva Netflix

prodotta da 42 di Gianluca Neri

scritta da Carlo Gabardini, Gianluca Neri e Paolo Bernardelli

regia di Cosima Spender

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