La morte di Stefano Cucchi fu omicidio preterintenzionale, da oggi è certezza giudiziaria. La Cassazione, dopo cinque ore di camera di consiglio, ha condannato a 12 anni – uno in meno rispetto alla sentenza di appello – i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, accusati per il pestaggio e la morte di Cucchi.
Per i due carabinieri accusati di falso, Roberto Mandolini e Francesco Tedesco, dovrebbe – ma a maggio scatta la prescrizione – esserci un nuovo processo di appello.
Fra pochi giorni invece arriverà la sentenza del processo sui presunti depistaggi seguiti alla morte di Cucchi. Alla sbarra otto carabinieri, accusati a vario titolo di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia. Il Pm Giovanni Musarò ha chiesto condanne dai 7 anni a 1 anno e 1 mese. Nella sua requisitoria aveva dichiarato: “c’è stata un’attività di depistaggio ostinata, che a tratti definirei ossessiva. I fatti che siamo chiamati a valutare non sono singole condotte isolate, ma un’opera complessa di depistaggi durati anni”.
“Possiamo mettere la parola fine su questa prima parte del processo sull’omicidio di Stefano. Possiamo dire che è stato ucciso di botte, che giustizia è stata fatta nei confronti di loro che ce l’hanno portato via”. A rivendicarlo è Ilaria, sorella di Stefano, dopo la sentenza della Cassazione che ha scritto la prima pagina definitiva sul caso.
Più duro l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi, che rivolge le sue parole a chi in questi anni aveva dubitato sull’omicidio di Stefano: “Siamo soddisfatti e dedichiamo questa sentenza definitiva ai vari Matteo Salvini, Gianni Tonelli, e agli iper garantisti che, per un decennio hanno sostenuto che Stefano Cucchi era morto di suo, era morto a causa dell’abbandono da parte dei genitori”.