La prima testimonianza scritta di aborto risale al 1550 a.C. e si trova nel Papiro Ebers. In Egitto le pene inflitte, elencate nel Codice di Hammurabi, variavano a seconda del ceto sociale della donna; si fa riferimento anche alla pena di morte per una donna che agiva contro le volontà del marito.
Nel contesto greco-romano, invece, la pratica di aborto era diffusa ma con un limite: il feto rientrava nella disponibilità dell’uomo di riferimento. Cosa vuol dire? La donna, escluse quelle non sottoposte a nessun podestà (cioè le prostitute), dovevano aspettare il beneplacito del marito. Nel caso in cui la donna incinta fosse condannata alla pena di morte, l’esecuzione veniva rimandata a dopo il parto. Quanto ai mezzi, vi erano farmaci, cantilene magiche, esercizi fisici violenti o strumenti meccanici.
Nell’età moderna l’Unione Sovietica (1919), l’Islanda (1935) e la Svezia (1938), furono i primi paesi a legalizzare l’aborto. L’obiettivo era fornire l’interruzione della gravidanza in un ambiente sicuro e con il supporto di medici. Per quanto riguarda lo Stato della Chiesa invece, fu papa Sisto V a dichiarare l’aborto un omicidio. L’interruzione volontaria di gravidanza è sempre stata “giudicata” un peccato e un assassinio, ma per papa Pio IX l’anima esisteva sin dal momento del concepimento.
Nei primi anni ‘60 l’aborto era illegale. C’erano i cosiddetti “aborti terapeutici”, soprattutto in America dove le donne dovevano presentarsi di fronte ad un comitato di dottori maschi e chiederne l’esecuzione. Venivano definite come affette da “disturbi mentali ed emotivi”, e spesso minacciate con frasi del tipo: “Ti facciamo abortire ma solo se accetti di essere sterilizzata” (dal documentario Reversing Roe, Netflix 2020).
Se negli anni ‘50 e ‘60 una donna rimaneva incinta e non lo voleva, non c’erano molte possibilità, o era fortunata ad avere un medico di famiglia che la aiutasse o doveva avere la giusta possibilità economica per recarsi in un altro paese e svolgere la pratica abortiva. Alcune donne, per mancanza di denaro, paura e vergogna, interrompevano da sole le gravidanze usando stampelle, coltelli o lanciandosi giù per le scale.
Nelle piazze italiane degli anni ‘70 risuonava una sola e potente voce: “L’utero è mio e lo gestisco io”. Le donne che manifestavano erano di tutte le età e non si trattava solo di rivendicare diritti civili e politici, ma anche affermare una libertà di scelta che era sia sessuale che di maternità. Per la prima volta nella storia, le donne rivendicavano pubblicamente il diritto di decidere se, quando e come avere un figlio. Maternità non era più intesa come dovere morale o destino biologico, ma una scelta.
Il 22 maggio 1978 il Parlamento italiano sancì, con la legge 194, la legalità dell’interruzione volontaria di gravidanza. La legge sull’aborto ha il duplice scopo: dare libertà di scelta alla donna ed evitare gli aborti clandestini, che mettevano a rischio la salute e la vita di coloro le quali vi ricorrevano per interrompere la gravidanza.
L’opposizione della Chiesa e dei partiti cattolici fu particolarmente forte: in un clima di pesante scontro sociale la legge fu sottoposta a un referendum abrogativo (1981). Ma la vittoria che la riconfermò rivelò quanto fosse cambiata la mentalità collettiva, anche tra le donne stesse, di classe popolare e cattolica, così come per la scelta della “maternità”.
Nel 2020 i metodi contraccettivi a disposizione sono tantissimi: la pillola anticoncezionale, per esempio, è un contraccettivo ormonale, come l’anello vaginale e la spirale, questi però non proteggono dalle malattie sessualmente trasmissibili, perciò va sempre usato il preservativo. Il coito interrotto non è un metodo contraccettivo.
Ogni donna può trovare quello giusto per sé … un po’ come scegliere il proprio partner!
Ovviamente l’invito è sempre quello di consultare una ginecologa o un ginecologo per farsi consigliare.
Per quanto riguarda la Chiesa nel 2020, abbiamo oggi un Papa che per alcuni versi è diverso dai tanti, ci invita a delle riflessioni sull’accoglienza, sulla tutela dell’ambiente, sull’accettare l’altro per quello che è; sul tema dell’aborto, invece, pare sia rimasto ancora agli “antipodi”, addirittura accostandolo alla guerra.
Papa Francesco il 23 settembre 2020 ha benedetto una campana chiamata “La voce dei non nati” promossa dalla fondazione “Sì alla Vita”. Se si spulcia il sito della fondazione cade l’occhio su un articolo a dir poco sconcertante: visto che siamo alle soglie del 2021 vi è il prof. Francesco d’Agostino che sostiene: “la fattuale legalizzazione planetaria dell’aborto ha sancito (sempre sul piano della storia) la marginalizzazione della figura del padre, cui è precluso ogni intervento in merito alla decisione abortiva della donna con cui ha generato un figlio. La simmetria uomo-donna permane nelle dinamiche generative solo a livello biologico, ma appare a livello sociale radicalmente misconosciuta”.
A leggere tali parole pare di essere tornati nel contesto greco-romano, dove il marito doveva necessariamente (lui) acconsentire all’aborto della donna. Ma mettiamo il caso che una donna fidanzata o sposata viene stuprata, e da quella violenza rimane incinta: quante donne crescerebbero un figlio non suo? Porterebbe avanti una gravidanza non desiderata? E l’uomo? Sarebbe padre di un figlio che non aspettava o non voleva?
Dobbiamo pensare che tutte le lotte fatte e le donne che continuano a morire, non ci hanno insegnato nulla? Dobbiamo ancora capire il fatto che ogni donna ha un cervello e può decidere per sé pur avendo un compagno o un marito?
Nessuno vuole essere paragonata/o a colei/colui che “non ha coscienza”, a chi ancora non riesce a capire che ognuno decide del proprio corpo. Nessuno vuole essere complice di un sistema che non tutela le donne, che non le ascolta; che non le dà la possibilità di interrompere una gravidanza senza necessariamente sentirsi vittima o colpevole e senza doversi spostare in cerca di un dottore che non sia obiettore.
Tutte le donne sulla faccia della Terra hanno il diritto di avere un figlio! Esattamente come non averlo!
Foto di Jill Wellington da Pixabay