Nonostante regni il silenzio sulla questione Ilva, in realtà sono ore frenetiche per il Governo Conte per cercare di trovare una quadra nel segno della continuità produttiva. Mentre a Taranto si cerca di edulcorare l’ennesima amara pillola con i progetti del Cantiere Taranto, la partita, prima ancora che a Roma, si gioca a Bruxelles. La chiave di tutto sono, infatti, i fondi del nuovo Just Transition Fund, per cui l’Italia sta facendo enormi pressioni. Si sta cercando di dirottare ben tre miliardi di euro sull’ennesimo salvataggio del siderurgico, con la scusa che serviranno per la riconversione “sostenibile” della fabbrica. Soldi che si aggiungono agli oltre dieci miliardi di fondi pubblici già dissipati dal 2008 ad oggi, con l’unico scopo di ricavare dalla vendita gli 1,7 miliardi da restituire alle banche creditrici. Quel che è peggio, è che la congiuntura economica conseguente alle disposizioni anti-Covid favorirà ancora di più quest’operazione, impedendo alla città perfino di manifestarvi contro. Covid che potrebbe agevolare ulteriormente anche Mittal, con condizioni ancora più favorevoli, potendo agitare lo spettro della crisi del momento. E’ praticamente certo che lo Stato entrerà con 450 mln di euro nel capitale sociale della nuova Ilva, con quote fra il 40 ed il 45%. Sarà una duo diligence con la multinazionale franco-indiana che potrà allegramente scaricare le passività sulla sua costola italiana, portando i profitti sulla casa madre.
A tutto questo, purtroppo, sembra non esserci più alcuna opposizione politica, dal momento che i livelli istituzionali si sono tutti allineati sulla decarbonizzazione. Cosa alquanto assurda, se si pensa che si tratta solo di una vaga linea di indirizzo senza il sostegno di alcun progetto concreto. Governo, Regione e Comune sono d’accordo su un niente spacciato per il meglio. Emiliano canta vittoria per essere stato il primo a promuovere l’idea, il Governo è felice di avere un’idea da vendere come fumo ed il Comune è soddisfatto di poter continuare a vantare la transizione ecologica della città, tenendo sullo sfondo la questione delle questioni. Con intollerabile timidezza e ambiguità, Regione e Comune parlano di chiusura dell’area a caldo, ma nessuno sembra voler contraddire, con la decisione che il momento impone, il Governo amico. Nessuno chiede in cosa consiste l’llva decarbonizzata, come sarebbe possibile e in quali tempi. E, soprattutto, se potrà garantire salubrità, occupazione e, prima di ogni cosa, compatibilità con la vita umana.
Lo chiediamo noi, perché su Taranto non si deve più scherzare e perché tutta la propaganda in atto è un chiaro preludio a ulteriori scelte irresponsabili che rischiano di condannare Taranto per i prossimi venti anni. Questo salvataggio comporta costi enormi rispetto a soluzioni risibili e palliative ed è perciò il momento di voltare pagina e usare quegli stessi fondi pubblici che si chiedono all’Europa, per traghettare la città verso un futuro migliore che non può prescindere dalla chiusura della fabbrica e dalla riconversione ecologica dell’economia del nostro territorio.