Sono 1.342 comuni, quasi 13,5 milioni di italiani, che il 3 e 4 ottobre sono chiamati al voto per decidere chi amministrerà le loro città. Nella due giorni di apertura dei seggi quasi tutti ripercorreranno sempre lo stesso schema: tessera elettorale, recarsi al seggio e mettersi in fila. La fila funziona così: da una parte gli uomini, dall’altra le donne. Stop!
E cosa succede a quei cittadini che, presentando il proprio documento allo scrutinatore di turno, il sesso assegnato sulla carta non dovesse corrispondere con la propria identità genere? Nel caso, di fortuna, di scrutinatore particolarmente sensibile forse nulla, ma in altri casi qualcosa succede, come ciò che è avvenuto a Siena, dove una persona transgender si è rifiutata di collocarsi in una fila in base al sesso anagrafico indicato dal documento di identità dopo essere stato chiamato ad alta voce con il nome precedente. Insomma, una sorta di outing pubblico e forzato. Un vera e propria violazione della privacy.
L’articolo 48 della Costituzione italiana sancisce il diritto di voto. “Sono elettori tutti i cittadini che hanno raggiunto la maggiore età”. Recarsi ai seggi invece per questi cittadini diventa non solo un’esperienza dolorosa ed in alcuni casi mortificante, ma addirittura pericolosa considerando che le pagine di cronaca sono piene di episodi di violenza e discriminazione di matrice transfobica. Il diritto di voto non può e non deve essere un compromesso. E sono tanti i cittadini che decidono di non votare e tutelare la propria identità.
Quindi, tutti i cittadini hanno diritto di voto? E no, non è così! Nel 2021, in Italia siamo ancora legati, per poter esprimere la propria preferenza, per poter esercitare il diritto ad eleggere il proprio rappresentante istituzionale, ad una mera suddivisione, uno schema tanto caro ai sostenitori del binarismo di genere, uomo o donna.
In Italia c’è un vuoto riguardo le stime sul numero di persone transgender binarie e non binarie, la letteratura scientifica internazionale suggerisce che la percentuale dovrebbe attestarsi tra lo 0,5 e l’1,2% del totale della popolazione. Quindi potremmo parlare di circa 400 mila italiani che non votano o che decidono di accettare quel famoso compreso.
Sembra abbastanza evidente che una soluzione vada trovata.
Nel frattempo che la politica nazionale decida di occuparsi anche di questa fetta di cittadini, le associazioni che si occupano dei diritti delle persone transgender binarie e non binarie hanno lanciato, già dal 2020, la campagna “Io Sono, Io Voto” per l’ottenimento di seggi elettorali accessibili, inclusivi e rispettosi per le identità trans*.
Oltre a poter firmare la petizione che fa appello al Ministero degli Interni e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, affinché si possano cambiare le procedure di voto previste dall’Art. 5 del DPR n° 223 del 20 marzo 1967 che ad oggi rappresentano una limitazione all’esercizio del diritto di voto per migliaia di persone transgender binarie e non binarie costringendole a coming out forzati, c’è la possibilità di segnalarsi come accompagnatore nella lista della propria città, sostenere e incentivare al voto le persone per cui potrebbe fare la differenza.
Tutti i cittadini hanno il diritto e il dovere di partecipare alla cosa pubblica, lo Stato ha il dovere di garantire e tutelare la totale inclusione nell’accesso al libero esercizio della democrazia.