Il consiglio di lettura di questa settimana è molto particolare, perché si tratta di un testo filosofico considerato, non solo dalla sottoscritta, una pietra miliare del pensiero: La Repubblica di Platone.
A prima vista si potrebbe ritenere La Repubblica un testo adatto solo agli “addetti a i lavori”, ma posso assicurare che non è affatto così. Nell’edizione della casa editrice Laterza si trovano introduzione, contesto dell’opera e note che rendono la lettura adatta a tutto il pubblico.
Ma veniamo al testo. La Repubblica è un’opera scritta sotto forma di dialogo, collocabile intorno al 390 a.C.
L’argomento intorno al quale si svolge il dialogo è la descrizione del potere, quello giusto. Si analizza in primo luogo l’idea della giustizia, successivamente le forme di governo e la suddivisione della società, ma andiamo per ordine. Il testo è diviso in 10 libri, ai quali corrispondono altrettanti argomenti: il primo libro tratta dell’idea di giustizia, di questa parte ne consiglio un’attenta lettura in quanto penso che possa offrire numerosi spunti di riflessione; nel secondo e terzo libro viene esposta la teoria platonica dello Stato ideale, l’individuazione dei guardiani e delle guide; il quarto e il quinto libro invece si occupano del rapporto tra mondo sensibile e Iperuranio, il mondo delle idee teorizzato dallo stesso Platone; sesto e settimo libro invece si occupano di illustrare la teoria della conoscenza, su come deve avvenire l’educazione dei filosofi e su cosa sia il bene, ritenuto quest’ultimo come unico fine della disciplina più alta; ottavo e nono libro trattano dello Stato e della famiglia, in particolar modo Platone individua le quattro forme di governo alle quali far corrispondere altrettanti tipologie di uomini; il decimo e ultimo libro si occupa dell’immortalità dell’anima e viene illustrato il Mito di Er.
I protagonisti di questo magnifico dialogo sono: Socrate (che ha il “compito” di esporre le idee di Platone), Cefalo (proprietario della casa nella quale si svolge il dialogo), Polemarco (allievo di Socrate), Trasimaco (sofista che avvia la discussione), Glaucone (allievo di Socrate), Adimanto (allievo di Socrate).
Questo testo, fondamentale per la storia del pensiero, offre innumerevoli spunti di riflessione. Essendo un testo che tratta di giustizia e politica personalmente lo consiglio a tutti coloro che vogliono intraprendere un percorso o carriera politica, non si può cominciare ad occuparsi della “cosa pubblica” senza aver letto La Repubblica di Platone.
La grandezza di questo libro, un po’ come la grandezza della filosofia, si trova nella capacità platonica di indurre a ragionare, a riflettere. Un testo straordinariamente contemporaneo in quanto, ad esempio, offre alle donne dell’utopistico Stato ideale, governato dai filosofi, un ruolo importante. Platone infatti riteneva, contrariamente alla società di allora, che una donna opportunamente educata aveva le stesse possibilità di sviluppare doti morali e intellettuali al pari di un uomo. Ma Platone riteneva che tutto ciò si potesse realizzare solo liberandole dalle cure familiari.
Il dato che rende straordinario questo testo e Platone è che quest’ultima idea la ritroviamo in un testo di secoli dopo, scritto da Aleksandra M. Kollontaj una delle artefici della Rivoluzione d’Ottobre che, nel testo “Amore e rivoluzione” di cui ne parleremo in un’altra occasione, parla proprio dell’idea di uno Stato che si prenda cura della prole affinché le donne possano occuparsi di politica.
Per queste e altre analogie, ad esempio l’idea che vede i governanti senza alcuna proprietà, la teoria dello Stato ideale presente in questo testo è stata definita come la teorizzazione del “comunismo platonico”.
Insomma, un testo utile e giusto per capire realmente cosa un sindaco, un parlamentare, un assessore o un politico dovrebbe fare per essere governati bene.
Proprio per questo, caro Trasimaco, io dicevo poco fa che nessuno volontariamente consente a governare e ad occuparsi dei guai altrui per raddrizzarli, ma che esige una mercede; perché chi intende esercitare bene la propria arte, non fa né prescrive mai ciò che è il meglio per sé, se le sue prescrizioni sono conformi a quell’arte; egli fa e prescrive ciò che è il meglio per il suddito. Ed è per questo, sembra, che chi consentirà a governare deve ricevere una mercede: o denaro od onori oppure un castigo, se non governa.
Che vuoi dire, Socrate, con queste parole?, chiese Glaucone. Conosco le due mercedi, ma non ho capito in che cosa consiste il castigo di cui parli e che hai considerato mercede. Non capisci allora, risposi, in che cosa consiste la mercede delle persone migliori, quella per cui i più onesti governano, quando consentano a governare. Non sai che l’ambizione di onori e di denaro è detta ed è una vergogna? – Lo so bene, disse.- Perciò, ripresi, non è per denaro né per onori che i buoni con sentono a governare. Non vogliono né essere tacciati di mercenari esigendo apertamente una mercede per la loro attività di governo, né di ladri ricavandola loro stessi di nascosto dalla carica che ricoprono. E d’altra parte non lo fanno per onori, perché non ne sono ambiziosi. Occorre che su di loro agiscano ancora gli stimoli della necessità e del castigo, se consentono a governare: di qui forse nasce l’abitudine di considerare brutto andare volontariamente al governo senza attendere che se ne presenti la necessità. E il massimo del castigo, se uno non consente a governare lui stesso, consiste nell’essere governato da uno che gli è inferiore: per timore di questo castigo, a mio parere, governano, quando governano, i galantuomini. E vanno allora al governo non perché lo stimino un bene per loro o perché pensino di trovarvi un piacere, ma perché lo considerano necessario e non hanno modo di affidarlo a persone migliori di loro e nemmeno simili. Perché, se mai esistesse uno stato di persone dabbene, si farebbe forse a gara per sottrarsi al governo, come adesso per accedervi, e vi risulterebbe evidente che in realtà un vero uomo di governo per sua natura non mira al proprio utile, ma a quello del suddito: sicché ogni persona prudente preferirebbe avere vantaggi da un’altra che incontrare noie per procurarli a lei. Io dunque non concedo assolutamente a Trasimaco che la giustizia consista nell’utile del più forte. Ma questo punto lo riesamineremo in séguito.
XVIII 346e- 347e