Coming out day, per l’Italia c’è ancora tanto da fare

Ida De Carolis

, Attualità

Dichiarare apertamente il proprio orientamento sessuale, vivere appieno la propria propria identità di genere, essere libere di essere se stessi. In due parole: coming out.

L’11 ottobre si celebra la Giornata mondiale del coming out, ricorrenza nata trentaquattro anni fa in America da un’idea di Robert Eichberg, uno psicologo del New Mexico, e Jean O’Leary, un’attivista LGBT. Non una data casuale: 11 ottobre 1988 ricorreva il primo anniversario della marcia nazionale su Washington durante la quale scesero in strada più di mezzo milione di persone in difesa dei diritti di gay e lesbiche.

Col passare del tempo questa ricorrenza si è diffusa ed è stata adottata in tutto il mondo. L’obiettivo è quello di accendere i riflettori sulla condizione delle persone che appartengono alla comunità LGBT celebrando l’atto del “coming out”, ovvero il rilevare pubblicamente la proprie identità di genere o orientamento sessuale. 

L’international Lesbian and Gay Association(Ilga) pubblica ogni anno un report che analizza la situazione nei diversi Paesi d’Europa e del mondo in materia di diritti Lgbtq+. Nell’ultimo, pubblicato a maggio, l’Italia si è posizionata ultima tra gli Stati dell’Europa occidentale. All’interno del report vi è una misurazione percentuale che indica quanto siano rispettati i diritti umani e civili della comunità Lgbtq+ nei vari Paesi. L’Italia si posiziona al 33° posto su 49 Stati con una media del 25% rispetto al 48%.

In report analizza aspetti come la libertà di espressione, l’omofobia, il riconoscimento legale del genere. All’interno dello stesso report si sottolinea la mancata approvazione del disegno di legge contro l’omobitransfobia.

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